La Lettonia è uno degli stati baltici, e come Estonia e Lituania ha intrecciato nei secoli la propria storia con quella russa, che ha sempre esercitato una certa influenza politica ed economica.
Nell’ultimo secolo, però, questo rapporto è diventato particolarmente doloroso, soprattutto negli anni dell’Unione sovietica (1944-1991), quando il russo era la lingua imposta nelle scuole e negli uffici, e i colleghi sovietici erano considerati degli sconosciuti che si erano stabiliti nel loro territorio senza conoscerne lingua e cultura. Dopo aver ottenuto l’indipendenza, il governo lettone ha avviato politiche per restituire la priorità alla propria lingua e cultura; questa pratica dell’amministrazione statale di legittimo ripristino delle origini ha però comportato la discriminazione dei russofoni che ormai da anni vivevano nel Paese.

I primi contatti tra Lettonia e Russia risalgono al X secolo e si intensificano dopo il 1709, data che segna l’annessione del Paese all’impero russo. Il numero di russi prosegue anche dopo la prima indipendenza (1818) grazie all’emigrazione dell’intelligencija russa.
I Russi possono partecipare alla vita politica e prendere parte alle elezioni per l’Assemblea Costituente della Lettonia, dove i partiti politici si dividono principalmente tra liberali e nazionalisti. Il 15 maggio 1934 la situazione politica viene completamente stravolta: Karlis Ulmanis, primo ministro dal 1918, instaura un regime autocratico: la costituzione viene sospesa e molti parlamentari vengono arrestati insieme ad altri attivisti politici e ai giovani democratici. I russofoni sono estromessi dagli incarichi pubblici.
Il 23 Agosto 1939 viene firmato il patto Molotov-Ribbentrop tra Unione Sovietica e Germania, con il quale quest’ultima rinuncia ad annettere ai propri territori gli stati baltici, lasciando invece che possano venire conquistati dalla potenza sovietica.
Il 22 Giugno 1941 la Germania rompe il patto aprendo il fuoco sulle difese di frontiera e bombardando Kiev, Žitomir, Sebastopoli, Minsk, Smolensk, Riga, Kaunas e altre città sovietiche.Nel 1944 le truppe dell’Unione Sovietica iniziano a riprendersi i territori invasi dalla Germania e sul suolo lettone vengono combattuti scontri pesantissimi che si concludono con la sconfitta nazista. Il 13 Ottobre di quell’anno la Lettonia torna a far parte dell’Unione Sovietica.
Durante il periodo di guerra e delle repressioni staliniane, la Lettonia perde un terzo della sua popolazione, accusando un notevole deficit nella forza lavoro. Ne consegue la migrazione di lavoratori e ingegneri provenienti da diversi paesi dell’Unione Sovietica, che permette all’industria di riprendersi.
Il 4 maggio 1990 viene emanata una Dichiarazione di indipendenza transitoria, che diviene definitiva il 21 agosto 1991, data in cui la Lettonia riconquista la propria indipendenza dall’Unione Sovietica. Ora i russofoni presenti sul territorio, avendo perso la loro precedente cittadinanza sovietica a seguito della disgregazione dell’Urss, non risultano essere cittadini di alcun paese. Il governo rifiuta di riconoscere cittadini lettoni i Russi immigrati dopo il 1940 .
Nel 1994 entra in vigore una legge sulla cittadinanza grazie alla quale poco meno della metà dei 700 000 abitanti parlanti lingua russa (un terzo della popolazione) ottiene il passaporto lettone nei sei anni successivi. Nel 1998 il governo, pur senza il favore popolare, decreta una modifica della legge sulla naturalizzazione, in base alla quale venne concesso ai figli degli apolidi russi, se nati in Lettonia dopo la dichiarazione di indipendenza, di ottenere la cittadinanza non appena venga fatta richiesta dai genitori. Rimane però la legge per cui chiunque abbia collaborato col KGB non può coprire un ufficio pubblico.
Queste discriminazioni hanno portato dei c.d. “non cittadini” a presentare ricorso davanti alla CEDU. Vorrei qui riportare le difficili vicende di una donna georgiana.

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 22 giugno 2006

Un’ apolide di origine georgiana, Sig.ra N. K. (“la richiedente”) adisce la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo il 10 aprile 2000, denunciando l’ingiustizia di dover vivere da undici anni senza diritto di risiedere legalmente sul suo territorio. L’accusa era aver violato l’articolo  8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Esso recita: Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

La signora georgiana, moglie di un impiegato del ministero degli interni, si era trasferita con lui e la figlia appena nata a Riga nel 1984, quando questa faceva ancora parte dell’Unione Sovietica. Qui, l’uomo aveva registrato i propri familiari, senza chiederne il consenso, presso la camera in un residence di servizio situato a Riga e la consorte aveva fatto annullare la propria registrazione ufficiale di residenza in Russia.
Nel maggio 1990 la donna chiede che la registrazione fatta dal marito venga cancellata, in quanto priva del suo consenso. Il 15 giugno 1990 viene cancellata dal registro in causa. La figlia minorenne rimane registrata al domicilio paterno fino al 1994.
Nell’ottobre 1991 la richiedente divorzia; nel frattempo, qualche mese prima (agosto 1991), la Lettonia era tornata a essere Repubblica indipendente. A dicembre crolla l’Unione Sovietica e la famiglia si trova priva di cittadinanza.
Il 3 febbraio 1993, il tribunale di prima istanza della circoscrizione di Vidzeme della città di Riga riconosce alla richiedente il diritto di locazione della camera ottenuta dal suo ex marito nel 1987.
Poco dopo, sempre nel febbraio 1993, la donna chiede al Iekslietu ministrijas Pilsonibas un imigracijas departaments ( traduzione letterale:Dipartimento di nazionalità e di immigrazione del ministero degli Interni,  in seguito il Dipartimento) di iscriverla nel registro dei residenti (Iedzivotaju registrs) come residente permanente della Lettonia. Nel marzo 1993 la figlia ottiene un’identica registrazione .
Nella sua richiesta però indica l’indirizzo al quale il suo ex marito l’aveva registrata illegalmente e non la sua residenza attuale a Riga.
Con una decisione del 21 luglio 1993, il Dipartimento annulla la registrazione della richiedente, poiché il timbro apposto sul passaporto era falso.
Il procuratore della circoscrizione di Kurzeme tramite una decisione del 17 gennaio 1994, decide di non intraprendere dei procedimenti penali contro la richiedente. Nei termini della decisione, il timbro della registrazione era autentico, ma apposto dall’amministrazione in violazione della legge pertinente.
Il 15 febbraio 1994, il Dipartimento cancella la richiedente dal registro dei residenti e annulla il suo codice d ’identificazione personale (personas kods). Il 21 settembre 1994, un atto identico viene preso contro sua figlia minorenne.
Il 9 gennaio 1995, il Dipartimento notifica alla richiedente una sentenza di espulsione (izbrauksanas rikojums), ordinandole di lasciare la Lettonia con sua figlia prima del 15 gennaio 1995. Il motivo: in data 1° luglio 1992, data critica fissata dalla legge relativa all’entrata e al soggiorno degli stranieri e degli apolidi russi nella repubblica di Lettonia (la legge sugli stranieri), la richiedente non aveva nessuna residenza permanente ufficialmente registrata in Lettonia; avrebbe dovuto sollecitare un permesso di soggiorno nel termine di un mese a partire dalla sua entrata in vigore, pena una sentenza di espulsione; ora, non l’aveva fatto.
Dopo aver tentato invano un ricorso gerarchico davanti il direttore del Dipartimento, la richiedente tenta un ricorso per annullare la sentenza di espulsione contro di lei e richiedere la sua nuova iscrizione nel registro dei residenti.
Con sentenza del 26 aprile 1995, il tribunale di prima istanza della circoscrizione di Vidzeme respinge la richiesta:non essendo mai stata valida la registrazione della residenza della richiedente a Riga, e non avendo la nazionalità lettone o quella di un altro Stato (d’ora in poi la “legge sui non cittadini”) si trova in Lettonia in posizione irregolare.
Contro questo giudizio, la richiedente presenta un ricorso in cassazione davanti la Corte suprema, che, tramite una sentenza definitiva del 19 maggio 1995, la respinge per gli stessi motivi della giurisdizione inferiore.
Nel marzo 1997, la richiedente fa una nuova richiesta di permesso di soggiorno presso il Dipartimento ma la sua richiesta viene respinta.
In seguito all’entrata in vigore, il 25 settembre 1998, delle modifiche dell’articolo primo della legge sui non cittadini, la richiedente chiede di regolarizzare la sua situazione, in conformità alla suddetta legge, al capo della Direzione delle cause della nazionalità e dell’emigrazione del Ministero degli Interni (Iekslietu ministrijas Pilsonnibas un migracjias lietu parvalde), succeduto  nel frattempo al Dipartimento.
In seguito al rigetto della sua richiesta, presenta un nuovo ricorso davanti il tribunale di prima istanza della circoscrizione del centro della città di Riga.
Con sentenza dell’8 settembre 1999, il tribunale respinge il ricorso della richiedente. Nei termini del giudizio, al primo luglio 1992 il suo domicilio non era validamente registrato in Lettonia e a quella data il suo soggiorno nel territorio lettone non era durato che 8 anni invece dei dieci anni richiesti.
Contro questa sentenza, la richiedente ricorre in appello davanti la corte regionale di Riga, che, con una sentenza del 15 maggio 2000, la respinge ugualmente, conformandosi al ragionamento del tribunale di prima istanza. La richiedente tenta allora un ricorso in cassazione davanti il senato della Corte suprema. Con un’ordinanza definitiva del 10 luglio 2000, riunitosi in sessione preparatoria (ricibas sede) a porte chiuse, il senato dichiara il ricorso inammissibile per mancanza di motivazione giuridica difendibile.
Nel frattempo, il 6 luglio 2000, la richiedente adisce la Direzione con una terza richiesta di regolarizzazione, esortandola a riconoscere il diritto di residenza legale in Lettonia. Questa richiesta viene respinta.
La donna si rivolge allora al Ministero degli Interni con una lettera scritta il 22 settembre 2000.
Il direttore dell’Ufficio nazionale dei Diritti dell’Uomo (Valsts cilvektiesibu birojs) si esprime in senso favorevole sulla causa della richiedente e invita il ministero a regolarizzare il suo soggiorno in Lettonia.
Nell’agosto 2001, il capo della Direzione decide di riaprire il dossier della figlia della richiedente, che aveva allora 17 anni. Constata in particolare che alla data del primo luglio 1992, ella era registrata al domicilio del padre, “non cittadina residente permanente” di Lettonia e che ha adempiuto sin da allora alle esigenze dell’articolo 1 della legge sui non cittadini. Di conseguenza, nell’ottobre 2001, la Direzione consegna alla figlia della richiedente un passaporto di non cittadina residente permanente, la iscrive di nuovo al registro dei residenti e le attribuisce di nuovo un codice d’identificazione personale.Il 24 dicembre 2003, la figlia della richiedente viene naturalizzata lettone.
La donna presenta un ricorso diretto contro la Repubblica di Lettonia il 10 aprile 2000. L’accusa: rifiutando di regolarizzare il suo soggiorno in Lettonia, le autorità lettoni hanno recato oltraggio ai suoi diritti a titolo dell’articolo 8 della Convenzione.
Nel frattempo, il 2 marzo 2004 entra in vigore una nuova legge sugli apolidi russi. Ai sensi dell’articolo 2.1 di questa legge, una persona può essere riconosciuta apolide se un altro Stato non l’ha riconosciuta come sua cittadina in conformità alle proprie leggi.
Il 21 ottobre 2004, la camera all’interno della prima sezione della Corte dichiara la richiesta della donna georgiana ammissibile.
Il 7 gennaio 2005, la Direzione indirizza alla richiedente una lettera in cui afferma che potrebbe ottenere un permesso di soggiorno permanente, presentando: una richiesta scritta; un documento d’identità; un documento rilasciato dagli organi competenti della Repubblica di Georgia e della Federazione russa, i quali attestano che non è cittadina di questi Stati e che la nazionalità di questi Stati non le è garantita, o almeno un’attestazione che documenti l’impossibilità di ottenere un tale documento.
La Direzione sottolinea come questa sia l’unica possibilità che la donna ha di ottenere un permesso di soggiorno permanente.
La ricorrente però non si conforma a questa disposizione.
Con una lettera datata 3 febbraio 2005 indirizzata alla Corte, il Governo spiega che alla riunione del Consiglio dei ministri del 2 febbraio 2005, è stato deciso di offrire alla donna georgiana un permesso di soggiorno permanente. Il Governo stima che la controversia all’origine della presente causa è stata risolta, e che la richiesta deve essere cancellata del ruolo.
La richiedente si oppone alla cancellazione della richiesta. Il verbale della causa riferisce che se avesse accettato si sarebbe trovata «privata di tutti i suoi argomenti» e che il Governo «riconosce implicitamente di aver torto». In sostanza, la donna sente di aver subito un grave torto per quasi dieci anni, e che avrebbe dovuto ottenere la cittadinanza senza passare attraverso nuove condizioni.
La richiedente fa valere che «solo la base giuridica in conformità della quale lei e sua figlia sono state private dei loro diritti deve essere oggetto d’esame dalla Corte».

Gli argomenti del governo vogliono dimostrare come non fosse stata commessa alcuna infrazione delle norme e come ogni decisione fosse conforme alle leggi correnti.
Il Governo ricorda che la richiedente è nata in Georgia e che, fino all’ età di 26 anni, ha vissuto in Russia e che non ha scelto lei stessa di venire a stabilirsi nel territorio lettone: accompagnava suo marito, funzionario del ministero degli Interni dell’URSS, che era stato trasferito per un certo tempo. Di conseguenza, la richiedente non può essere assimilata ad uno «straniero integrato» ai sensi della costante giurisprudenza della Corte.Come ha lei stessa attestato nella sua richiesta di registrazione presentata nel 1993, le lingue che parla in famiglia sono il russo e il georgiano; per contro, non ha padronanza del lettone. Da ciò, lei non proverebbe delle difficoltà maggiori di adattamento sociale e culturale in Russia, se fosse costretta ad installarsi lì.Riguardo la figlia della richiedente, il Governo ricorda che la richiedente stessa è disoccupata; di conseguenza, non può esserci alcun legame di dipendenza economica particolare tra loro. La tesi sostenuta è: i vincoli che uniscono la richiedente a sua figlia non sono di natura tale da rendere l’ingerenza in causa sproporzionata. Infatti, fino al 1994 la figlia della richiedente ha vissuto con suo padre, che anche dopo ha continuato a sostenerla finanziariamente. Inoltre alla richiedente non è stato posto alcun ostacolo che le impedisse di far visita a sua figlia in Lettonia, sotto copertura di un visto, o di accoglierla presso di lei in Russia.
In questo modo il governo vuole difendersi dall’ accusa di violazione dell’articolo 8.

L’argomentazione della donna georgiana si articola così:
Lei e sua figlia vivono in Lettonia dal 1984, da quando cioè il territorio lettone faceva parte dell’Unione sovietica e la circolazione delle persone tra le diverse parti di questo Stato era libera. A questo proposito, la richiedente sottolinea che dopo la scomparsa dell’URSS, si è trovata senza nazionalità; ella sostiene che le autorità lettoni la privarono della nazionalità lettone che aveva precedentemente. La richiedente insiste sui problemi di ordine socio-economico che provò di fatto dal suo stato irregolare in Lettonia: non ha potuto né lavorare legalmente [senza un personal kods non è possibile ottenere un contratto, nè aprire un conto corrente, ndA] né beneficiare di sussidi e di prestazioni sociali; per giunta, rischia in ogni momento di perdere l’unica dimora di cui dispone. Quanto alla regolarizzazione, poi alla naturalizzazione di sua figlia, la richiedente considera che questa misura non costituisce un risanamento adeguato del pregiudizio che hanno subito tutte e due in ragione dei loro guai.

La Corte constata subito che una parte dei fatti relazionati dalla richiedente sono anteriori al 27 giugno 1997, data dell’entrata in vigore della Convenzione relativamente alla Lettonia. La Corte ricorda che la Convenzione non garantisce, in quanto tale, il diritto di entrare o di risiedere in uno Stato di cui non si è cittadini e che gli Stati contraenti hanno il diritto di controllare l’entrata, il soggiorno e l’allontanamento dei non nazionali .
Tuttavia, le decisioni prese dagli Stati in materia di immigrazione possono, in certi casi, costituire un’ingerenza nell’ esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare protetta dall’ articolo 8 della Convenzione, segnatamente quando gli interessati possiedono, nello Stato d’accoglienza, dei legami personali o familiari sufficientemente forti che rischiano di essere gravemente colpiti in caso di applicazione della misura in causa.Nella specie, la Corte constata che la richiedente possedeva all’ inizio la cittadinanza dell’URSS, Stato che sparì nel 1991, e che non ha avuto, in nessun momento, la nazionalità lettone. Niente altro indica che poteva legalmente pretendere la nazionalità lettone secondo le leggi di questo Stato né che questa le fosse stata rifiutata arbitrariamente.
All’ occorrenza, la Corte rileva che, fino al 1994, la richiedente risiedeva in Lettonia a titolo regolare. Nel febbraio 1994, fu cancellata dal registro dei residenti, il suo codice d’ identificazione personale fu annullato e, nel gennaio 1995, fu oggetto di una sentenza di espulsione. Benché questa sentenza non venne mai eseguita, nessuno contesta che la sua esistenza collocò la richiedente in una situazione molto precaria e instabile nel territorio lettone. Ciò fu fino al gennaio e febbraio 2005, dunque dopo che la presente richiesta fu dichiarata ammissibile dalla Corte, che le autorità lettoni presero delle misure concrete miranti a regolarizzare il soggiorno della richiedente. Ora, c’è da osservare che undici anni sono trascorsi tra la cancellazione della richiedente del registro e l’adozione delle misure sopra menzionate. La Corte constata che la signora è arrivata in Lettonia nel 1984 e da allora vi è rimasta. La Corte non stima determinante il fatto che non fosse di origine lettone e avesse trascorso molti anni in Russia. In primo luogo, niente dimostra che avesse il diritto alla nazionalità russa o georgiana e la stessa Direzione delle cause della nazionalità e dell’ emigrazione del Ministero degli Interni sembrava riconoscerlo nella sua lettera, chiedendo di fornire dei documenti attestanti la non nazionalità di questi due Stati e la garanzia di non poter ottenerne la nazionalità. In secondo luogo, nessuno poteva contestare che, durante il periodo successivo al 1984, la donna aveva allacciato dei legami personali e sociali abbastanza forti in modo tale da dire che fosse ormai sufficientemente integrata nella società lettone, anche se, come sosteneva il Governo, non aveva una padronanza del lettone ad un livello sufficiente. In queste condizioni, solo ragioni particolarmente gravi avrebbero potuto giustificare un rifiuto a rilasciare la cittadinanza e non ce n’erano. Riconoscendo il diritto di ciascuno Stato di adottare delle misure effettive per assicurare il rispetto della legislazione in materia di immigrazione, la corte di Strasburgo considera che una misura simile a quella subita dalla richiedente non avrebbe potuto essere essere proporzionata che in presenza di comportamenti particolarmente pericolosi da parte dell’interessata, che non esistevano.
Quanto alla «vita familiare», ai sensi della stessa disposizione, la Corte constata che la sentenza di espulsione adottata nei confronti della richiedente nel 1995 colpiva anche sua figlia; avendo le due ricevuto l’ingiunzione di partire, questa misura non poteva avere l’effetto di spezzare la loro vita comune . All’ epoca della sentenza, la figlia della richiedente è maggiorenne; dal 2001, risiede in Lettonia a titolo regolare, e dal 2003, ha la nazionalità lettone. Ne consegue che la richiedente non può più invocare l’esistenza di una «vita familiare» in relazione a sua figlia . Essa esaminerà il capo d’accusa della richiedente sotto l’aspetto della sua vita «privata».
È vero che la sentenza di espulsione adottata nei confronti della richiedente non è stata mai eseguita, ma non basta che lo Stato di accoglienza si astenga dall’ espellere l’interessata; bisogna ancora che le assicuri, prendendo all’occorrenza delle misure positive, la possibilità di esercitare senza ostacoli i diritti diritti concreti ed effettivi, coerenti con l’articolo 8. Nella specie, la Corte stima che il rifiuto prolungato delle autorità lettoni di riconoscere alla richiedente il diritto di risiedere in Lettonia a titolo regolare e permanente costituisce un’ingerenza nella sua vita privata.

Riassumendo, visto l’insieme delle circostanze, e in particolare tenuto conto
del periodo d’incertezza e di precarietà legale di undici anni che la donna aveva vissuto nel territorio lettone, la Corte stima che le autorità lettoni avessero oltrepassato il margine di giudizio di cui godono gli Stati contraenti in questo campo.
Il governo lettone, per cinque voti contro due della corte, viene dichiarato colpevole di aver violato l’articolo 8 della Convenzione.

Chi sono gli apolidi russi

Un articolo di East journal del 2012 firmato da Paolo Pantaleo recita:

«La maggior parte di questi “non cittadini” sono persone di origine nazionale russa: 205 mila e 305, ovvero due terzi del totale. Sono invece circa 364 mila le persone di nazionalità russa che attualmente vivono in Lettonia con la cittadinanza lettone. Ci sono poi quasi 34 mila persone che hanno la cittadinanza russa e vivono in Lettonia. In totale dunque il numero dei russofoni che risiedono in Lettonia è di oltre 600 mila (su 2 milioni di abitanti, di cui 1 milione e 300 mila sono di lingua lettone).»

Gianmarco de Sogus, laureatosi nell’anno accademico 2012/13 presso l’Università di Cagliari, ha scritto una tesi riguardo alla situazione dei nepilsoni (letteralmente: non cittadini) lettoni.

«Non possono votare, formare partiti politici, candidarsi alle cariche pubbliche, ed è impedito loro l’accesso alle professioni statali o di pubblica sicurezza. I Russi residenti in Lettonia e immigrati dopo il 1940 non sono riconosciuti come cittadini lettoni e per ottenere il passaporto devono superare un esame di lingua e storia del Paese. Nel 1994 è entrata in vigore una legge grazie alla quale poco meno della metà dei 700 000 abitanti parlanti lingua russa (un terzo della popolazione) ha ottenuto la cittadinanza lettone nei sei anni successivi.Chiunque abbia collaborato col KGB non può coprire un ruolo pubblico. Ad oggi, il 14% della popolazione lettone risulta priva di cittadinanza e non può votare».

Spiega ancora De Sogus che l’esame di cittadinanza ha come obiettivo la valutazione della competenza linguistica e consiste in due parti, una scritta e una orale, entrambe in lingua lettone. La parte scritta si articola in un test composto di diciotto domande e nella stesura di un testo su un argomento relativo alla vita quotidiana (il tempo previsto è di 90 minuti); nel test orale, una commissione giudica il candidato sulla sua capacità di argomentare fatti di vita quotidiana, oltre a una domanda in merito ai principi di base della Satversme (Costituzione), una sulla Repubblica di Lettonia e una sulla storia del Paese (il tempo previsto è di 15 minuti).
I richiedenti, che hanno raggiunto l’età di sessantacinque anni, effettuano solo la parte orale dell’esame relativo alla conoscenza della lingua lettone.

La lingua russa

La Lettonia è l’ex-repubblica sovietica con la percentuale più elevata di cittadini di cultura e origini russe (26%) e la lingua russa è dichiarata come lingua madre da oltre il 35% della popolazione7.
A novembre 2011 si è tenuta la raccolta di firme per rendere il russo seconda lingua ufficiale dello Stato. Organizzata da Dzimtā valoda (“La lingua madre”, movimento radicale russofono e filorusso) l’iniziativa ha raggiunto e oltrepassato il quorum necessario (154.379 firme) per avviare la proposta di modifica costituzionale. Secondo un articolo pubblicato nel 2012 da “Cafebabel” il 75% dei votanti lettoni erano contrari all’iniziativa di riconoscere il russo come seconda lingua ufficiale; è solo Dzimtā valoda ad opporsi alla chiusura delle scuole russe e a insistere affinché la minoranza ottenga più diritti8. Il 18 febbraio 2012 si è svolto il referendum sullo status della lingua russa: con un’ampia maggioranza i cittadini si sono espressi contrari alla proposta di considerare il russo lingua ufficiale, accanto al lettone. Nei 1035 seggi elettorali aperti per il referendum, i “NO” sono stati 821 722, contro 273 347 “SI”. Le schede nulle sono state 3524, l’affluenza definitiva si è invece attestata al 69%9. La discriminazione è un’arma concreta: nel Paese vi sono leggi che prevedono multe per le aziende in cui si parla russo, e i partiti politici che difendono le minoranze non sono stati inclusi nella coalizione di governo, nonostante abbiano vinto 31 seggi su 10010.

Situazione politica

A guidare il Paese negli ultimi vent’anni sono stati soprattutto partiti di destra e centro-destra rappresentativi dell’etnia maggioritaria lettone, filoeuropei e avversi al governo di Mosca. Dal momento che la Lettonia ha ottenuto l’indipendenza recentemente, i partiti condotti da cittadini russi non sono molto popolari e non ha aiutato la vicenda ucraina, che ha visto la maggioranza degli intellettuali schierarsi contro la politica intrapresa da Putin.
Il 2011 è stato di importanza storica per la minoranza russa: Nils Usakovs ha vinto le elezioni anticipate ed è diventato sindaco di Riga. Nonostante la vittoria il suo partito è rimasto all’opposizione. Usakovs è il primo sindaco russo, nonché il più giovane, capace di convincere anche i non russi (che nella capitale sono solo il 42%)11a votarlo. Fuori dal contesto politico, molti vedono in lui un fattore di unione (anche perché ha ottenuto la cittadinanza a soli ventitré anni- cittadinanza di cui i suoi genitori sono tuttora privi).

La situazione nel 2016

La situazione si fa sempre più tesa ai giorni nostri, dopo l’elezione di Trump. La paura, infatti, è che nel caso di un’invasione russa il neo presidente cercherebbe di non compromettere troppo i rapporti con Putin.
Intervistato da the Sun, Sir Alexander Richard Shirreff, generale degli ussari reali e vice comandante della Nato in Europa dal 2011 al 2014 , dichiarò:

«Decine di migliaia di truppe russe sono in questo momento nei pressi dei confini degli stati baltici. La NATO non dispiegherà truppe prima del prossimo Maggio (l’intervista e datata 6 dicembre 2016 ). Ci sono solo le forze armate di Estonia, Lettonia e Lituania, non più di 10000 unità»

Si tratta di teorie che rispecchiano un reale pensiero che serpeggia per i tre stati.
Vaidotas Urbelis, funzionario del Ministero della Difesa lituano ha dichiarato al The Guardian:«Quello che stiamo cercando di far capire a tutti è che tutto ciò che abbiamo realizzato negli ultimi 25 anni è in gioco, tutto potrebbe finire».
Delfi, quotidiano pubblicato sia in lettone che in russo, riporta il commento di Newt Gingrich, dirigente dirigente nazionale del Partito Repubblicano e “noto supporter del presidente Trump”, il quale ha definito l’Estonia «periferia di San Pietroburgo».
D’altro canto, ci sono russi che non vogliono integrarsi: se molti vogliono avere la cittadinanza per godere del diritto di voto (sono invece già assicurate loro pensione e assistenza sanitaria), alcuni preferiscono non avere il passaporto lettone, per poter viaggiare negli stati della CSI (ex Urss) senza necessità di visto.
Motivo di divisione è anche la presenza di russofoni che si sentono più legati a Mosca che a Riga. Un esempio di questo sono coloro che festeggiano Capodanno alle 23 del 31 dicembre perché sincronizzati con Mosca.

Difficile dare ragione ai russofoni piuttosto che ai lettoni. I primi subiscono una evidente discriminazione e i secondi hanno molta paura che la Russia possa controllare in qualche modo il governo e l’economia del Paese.
Porsi come giudici in favore di uno schieramento piuttosto che di un altro significherebbe commettere lo stesso errore che condanniamo, ovvero la discriminazione di un gruppo etnico.
L’atteggiamento migliore è forse quello di ascolto e mediazione, con la fiducia che la situazione lettone possa rappresentare nei prossimi anni un esempio di felice convivenza tra cittadini dalle radici diverse.
Una vittoria sui reciproci pregiudizi è possibile, e rappresenterebbe una vittoria per l’Europa tutta, che sta attraversando difficoltà simili.

Un libro da leggere: 

Jan Brokken, Anime Baltiche, Iperborea, 2014

Bibliografia in ordine di citazione

S.a. (05.02.2015). Russians in Latvia. Latvian History. Available at: http://latvianhistory.com/2012/02/05/russians-in-latvia/

Zola, M. (15.07.2012). LETTONIA: La minoranza russa è discriminata. Ma bisogna pur difendersi – East Journal.East Journal. Available at:http://www.eastjournal.net/lettonia-la-minoranza-russa-e-discriminata-ma-bisogna-pur-difendersi/19257 (25.02.17)

Corte europea dei diritti dell’uomo, Sez. I, Sentenza del 22 giugno 2006 sul ricorso n. 59643/00. K. – Lettonia. Cfr: http://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf

Testo della convenzione europea dei diritti dell’uomo. (n.d.). European Court of Human Rights. Available at: http://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf

Sechi G., La Russia e l’identità della Lettonia, Limes, (27.02.2015)<http://www.limesonline.com/la-russia-e-lidentita-della-lettonia/76229?refresh_ce, (24.02.17)

V.Eden, Perché parli in russo? Il referendum in Lettonia zittisce la minoranza, “CafèBabel”, <http://www.cafebabel.it/politica/articolo/perche-parli-in-russo-il-referendum-in-lettonia-zittisce-la-minoranza.html&gt;, (24.02.17)

Di Simone Alessandro, Vent’anni e non sentirli: i paesi baltici dopo il crollo dell’Urss, “Limes”, (19.12.2011),cfr.http://www.limesonline.com/ventanni-e-non-sentirli-i-paesi-baltici-dopo-il-crollo-dellurss/30500?refresh_ce (23.02.17)

T.Ancytis,Gli apolidi russi in cerca di identità, “VoxEurop”,<http://www.voxeurop.eu/it/content/article/3776241-gli-apolidi-russi-cerca-di-identita&gt; (15.05.13) , (24.02.17)

P. Knox, Russian war threat,The sun, 6.12.2016. https://www.thesun.co.uk/news/2339646/donald-trump-russia-nato-us-election-world-war-3/ (25.02.17)
E.G. Harrison, As global axis of power shifts, a cold wind blows through the Baltic states,(12.11.16) https://www.theguardian.com/world/2016/nov/12/lithuania-donald-trump-nato-putin-fears (25.02.17)

Pressa Britanii: stranye baltii ne strašatsja rossiskoj ugrozy. (10.02.2017). DELFI. Available at:http://rus.delfi.lv/news/daily/abroad/pressa-britanii-strany-baltii-ne-strashatsya-rossijskoj-ugrozy.d?id=48501283&gt; (24.02.17)

Pubblicità